A richiesta, qui di seguito il testo del mio intervento all'inaugurazione di World Press Photo a SpazioReale (senza correzioni).
Ecco, come è consuetudine fra amici, abbiamo fatto il punto della situazione, spiegato le novità, riassunto ciò che si è fatto dall'ultima volta in cui ci si è inconotrati.
© 2015 weast productions / Giorgia Bazzuri |
Siamo partiti dal Resto
della vita, nel 2012, per successivamente incontrare i giovani
fotografi afgani, e poi gli scatti di Andy Rocchelli. Nel 2013 ci
siamo detti che World Press Photo avrebbe portato altri, nuovi
sguardi sul mondo e siamo così diventati parte di questa grande
famiglia, inserendo SpazioReale nel circuito che ospita, una volta
all'anno, questa prestigiosa esposizione. Ci siamo, non senza
sorriderne, inchinati al DIO del pallonee dei Mondiali, l'anno
scorso, riproponendoci di tornare a mostrarvi World Press Photo
quest'anno. Abbiamo mantenuto la promessa.
Nel frattempo SpazioReale
ha lanciato una collana di fotogiornalismo, edita insieme a
SalvioniEdizioni, che ha conosciuto un lusinghiero successo, anche al
di là dei nostri confini. Abbiamo ospitato, in una proiezione
all'aperto, il fotografo Giles Duley: le sue immagini e le sue parole
hanno lasciato un segno indelebile in tutti noi. Il 18 giugno,
organizzeremo un nuovo EventoReale, di cui vi parlerò
successivamente.
Ecco, come è consuetudine fra amici, abbiamo fatto il punto della situazione, spiegato le novità, riassunto ciò che si è fatto dall'ultima volta in cui ci si è inconotrati.
L'esposizione che questa
sera insieme inauguriamo ci consente di compiere un giro del mondo,
uno dei possibili. È un viaggio dentro la realtà, di cui evidenzia
lo scorrere inarrestabile e, soprattutto, se mi è concesso, anche in
questa occasione, assecondare un pallino personale per suggerire una
possibile interpretazione, un viaggio che rivela la contemporaneità
dell'accadere del reale, del farsi della realtà, del suo essere
realtà.
Troverete, confrontandovi
con le fotografie che ci stanno aspettando nelle sale sotterranee,
immagini di guerra, di violenza, di prevaricazione sociale, di
ingiustizia e ingiustizie, ma anche fotografie che mostrano la
meraviglia e la straordinaria complessità della natura, momenti in
cui lo sport diventa racconto epico e riesce a dirci qualcosa che
riguarda non soltanto una palla, più o meno grande a seconda della
disciplina, o un risultato, più o meno eccezionale a seconda dei
metri percorsi o dei metri raggiunti spiccando un salto, ma che
riguarda la vita; troverete immagini del mondo animale, una, ad
esempio, che mostra uno scimpanzé allungato sul lettino di un
veterinario in attesa di essere visitato; e troverete lo sguardo
terrorizzato di una scimietta da circo che attende di capire se il
suo padrone la prenderà a frustate o la chiuderà dentro una gabbia.
World Press Photo è
questo, ai miei occhi: la manifestazione del mondo nella
contemporaneità del suo accadere e in fondo anche l'illustrazione di
come la natura, colta nel suo splendore e nella sua complicatezza,
sia indifferente al dolore che esseri umani infliggono ad altri
esseri umani, e si sappia vendicare, seminando la morte, quando
l'essere umano coinvolge anche lei, la natura, nel suo gioco al
massacro, inquinandola e sfigurandola.
C'è, in World Press
Photo, tutto questo.
Rifiuto, da sempre, l'idea
che siamo diventati indifferenti a come va il mondo, alla bellezza e
all'orrore, al dolore e alla gioia, all'allegria. Sono, queste, scuse
accampate da chi il mondo dovrebbe raccontarlo per mestiere e questo
mestiere, invece, lo tradisce. Per superficialità, per comodo, per
tornaconto, per complicità con il potere e i poteri stende,
attraverso questa scusa, un velo censorio sulla realtà.
Non siamo, tuttavia, degli
sprovveduti, e intravvisto l'inganno, sappiamo, ad esempio sapete,
partecipando a questa inaugurazione, manifestare il desiderio di
guardarlo, questo mondo, di trovarsela davanti, la realtà. Davanti a
una fotografia siamo, anche, davanti a noi stessi. Ciascuno farà le
proprie riflessioni e tirerà le proprie conclusioni.
Siamo tutti in fila per un
racconto. Il racconto del mondo. Degli altri. Della vita degli altri.
Alla ricerca, probabilmente, delle spiegazioni che non troviamo:
perché ci facciamo le guerre, perché uccidiamo, perché rincorriamo
un pallone su un prato verde, invece di farci una merenda, perché
distruggiamo la natura, e perché siamo capaci di sacrificio, per
salvare una vita a un essere umano o per allungarla a un essere
animale? Perché?
Succede tutto
contemporaneamente. Chi nasce e chi muore. Chi parte in viaggio e chi
è fermo da sempre. Chi uccide e chi, invece, salva la vita a
qualcuno. Chi è ucciso e chi invece ha salva la vita.
In questo istante, in
Siria, dove si combatte una guerra, qualcuno, sicuramente, è colpito
da una pallottola o fatto a pezzi da una bomba; in Iraq è lo stesso;
le ragazze prigioniere di Boko Haram a cosa staranno pensando? E
l'ISIS, quali piani starà mettendo a punto. C'è chi, in questo
istante, da qualche parte nel mondo, si sta innamorando, a Lugano
qualcuno si sta amando, a Londra un uomo e una donna si stanno
lasciando, a Beirut c'è chi perde il lavoro, a Zurigo chi ottiene un
aumento di salario, ad Atene c'è chi finisce a dormire sotto un
ponte, altrove ancora c'è chi decide di cambiare vita, chi inizia a
bere o si giura che non fumerà mai più, chi riceve una nuova vita
grazie all'abilità di un chirurgo o alla potenza di un farmaco, e
chi, invece, la perde perché non c'è nessuno che paghi il chirurgo
o il farmaco, e c'è chi dà la vita per evitare che un altro la
perda. O per scattare una fotografia.
Ecco. Succede tutto
questo, nel mondo, in questo istante. Succede, anche, che mentre
guardiamo una fotografia, la fotografia ci guarda. E così facendo fa
in modo che i nostri occhi si aprano, si spalanchino anzi: sul mondo
e su di noi.
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