Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 25 gennaio 2018

Tu ancora non sai.

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Leviga la notte.
Leviga il mio corpo.
Levigami.
Fammi sparire.
Cancellami.
Ho il coraggio
di chiedertelo, io:
ragazzo.
Testarda:
come sono.

Hai pianto, leggendo
Darwish?
Hai provato rabbia?
Lo hai capito?
Che cosa, hai capito?
Lo hai: letto?

Di me: cosa sai?
Di me, di me. Di me.
Io so che tu
hai le mani ruvide.
Che le tue mani
hanno paura.
Si avvicinano al mio corpo
già sapendo
che non ci arriveranno mai.

Il tuo coraggio
si perde in altre cose.
Da altre imprese
derivi gloria.
Stai dietro
alla battaglia.
A una prossima.
Conti le pallottole.
Le lucidi.

Anche la mia pelle,
questa notte,
è lucida.
Sarebbe l'istante
perfetto.

Tu ancora non sai
che siamo rimasti in due,
noi due,
soltanto.
Non dico al mondo.
Ma: qui.
Qui: sì.


È la prima poesia inviatami da Gaza dalla giovane autrice che corrisponde con Faccia da Reporter. È arrivata alle 19.15 di oggi. L'ho tradotta in fretta, con la solita scarsa cura e competenza, credo, ma con l'urgenza di darle vita in italiano. Credo si innesti bene nell'attualità che conosciamo, e soprattutto che sia ideale per fare da coraggiosa barricata a quanto si sta dicendo in queste ore da tribune prestigiose (per chi?) come Davos, in relazione alla terra nella quale questa ragazza vive e vuole vivere. L'invito è a leggere le poesie di Mahmoud Darwish: creano una trincea (del pensiero) resistente nei confronti dell'idiozia. 

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