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Ho scattato questa fotografia due minuti prima che sul cellulare mi arrivasse la notizia urgente: “Veicolo sulla folla a Barcellona”. La vita.
Ho scattato questo click a Bellinzona, che di Barcellona è sorella, non fosse che per l'assonanza delle lettere, messe una accanto all'altra. Non fosse che per quello stesso numero di lettere che ne compongono i nomi. Sorelle. Dopo quei due minuti, i primi corpi per strada.
Quanti corpi per strada ho visto, nella mia vita. Corpi senza vita.
L'onda d'urto di Barcellona li ha rimessi in movimento, come tronchi d'albero mandati giù lungo un fiume, mentre al bar, seduto fuori, con il sole che scambiava tutto per una vacanza, non per una pausa di lavoro, registravo la furia e la rabbia montare fra gli altri attorno a me, attaccati agli smartphones. La furia e la rabbia e l'ira farsi grandi e poi quasi immense. Immense e basta.
Dolorose e annientatrici, furia rabbia ira mordono quando osservi l'odio che esseri umani vomitano su altri esseri umani. Sta crescendo, questa onda, questa onda di ritorno. Questa ancora sotterranea militanza che è tuttavia da prendere sul serio. Il cronista la registra. E si chiede: chi c'è dietro Barcellona? Chi si nasconde dietro queste azioni? La consapevolezza che c'è qualcuno, di opaco e non definibile (si fa per dire), e non è soltanto il criminale e terrorista radicalizzato che guidava il veicolo, spinge il cronista a partecipare alla discussione, manifestando il consiglio di usare il cervello, di applicare la conoscenza. Intesi entrambi, il cervello come la conoscenza, non come la coda che finisce fra le gambe del cane, ma come una forma di resistenza e di militanza.
Quante storie ho raccontato, negli anni, nella speranza di raddrizzare i torti e di dimostrare che le bombe con i mandanti più diversi (quasi sempre i soliti noti) erano cadute sui luoghi sbagliati, sulle famiglie, sulle donne, sui bambini. Quanti colleghi hanno fatto la stessa cosa. Pagando con la vita. Ancora poche settimane fa. Pagando con mostri che vengono fuori di notte. E di giorno. Quante persone, fra quelle falciate a Barcellona, sono scese in strada, in Spagna come in altre città, per dire no alla guerra e no alle bombe? Tante. Non lo so, ma lo immagino.
Com'è difficile, questo tempo. Per chi crede nella giustizia non urlata e non esposta ai riflettori, nella giustizia sottratta alla volgarità dell'egocentrismo e agli interessi tenuti nascosti fino all'ultimo, fino a che si può. Difficile per chi crede nella giustizia messa insieme, un pezzo minuscolo dopo l'altro, un anno dopo l'altro (e quanti sono?), finendo sparati e minacciati, fatti a pezzi dentro dalla paura e dalla delusione prodotta dall'essere umano, non sempre, ma quante volte, quasi sempre, dai.
Questo ci fate? Chi ce lo fa? Chi? È una guerra parallela, che utilizza quelli che dentro hanno il vuoto, oppure l'odio e basta, oppure la merda (la merda, lo dico, la merda) ilvuotolodiolamerda per compiere crimini.
Chiedo, sapendo di non valere nulla e di contare ancora meno, che si cerchino i burattinai. I mandanti. Non per assolvere i burattini. Ci mancherebbe. Ma per colpire duro i primi. Se c'è da nominarli, li nominiamo.
È giunta la rivendicazione, la immaginabile (genuina e/o inquinata che sia, non cambia nulla). Chiedo ai popoli per raccontare i quali (insieme ai torti, ai lutti e alle violenze da loro subiti) fratelli giornalisti hanno pagato con il sacrificio della vita (altri con incubi assorbiti e mai cancellabili), chiedo a questi popoli che generino un'onda incontenibile di protesta riversandosi per strada. Che urlino: “Basta”. Che manifestino lo stesso disorientato stordimento. A voce alta. Andando incontro a un ipotizzabile (non sempre, suvvia) sacrificio, tuttavia mai uguale a quello consumato dai miei fratelli reporter. Non passerebbero inosservati. Anzi.
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