Il fronte sudorientale di Mosul è fatto di aria spaccata dalle raffiche delle 50 millimetri dei mitraglieri iracheni.
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(c) 2016 weast productions |
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Non è un fuoco continuo: è un fuoco a tratti, diretto contro le posizioni dell'Isis. Stanno faccia a faccia, con i binocoli si guardano negli occhi. Un soldato dice: "Che ci guardino il culo".
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Il primo tenente è in piedi dietro a un muro. Per raggiungere la parte opposta della strada è necessario correre: i cecchini dell'Isis non aspettano che di impallinare qualcuno. Mi metto a correre, dietro il mio fixer, un ragazzo di 30 anni. Penso: a niente. La guerra comincia a scorrere nelle vene. Attraversa anche Hussam, il cameraman di una TV irachena.
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Si mette a girare la torretta della mitragliatrice montata sull'Humvee parcheggiato su questo lato della strada. Prende a cantare. I bossoli cadono a terra come denti marci. Mandano un filo di fumo per qualche istante ancora e sono morti.
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Se fosse soltanto una cosa fra soldati, fra addetti ai lavori, la guerra potrebbe anche andare. Anche se non va via l'espressione del giovane soldato iracheno, incontrato un'ora prima, a capo chino, intento a pensare se questa sera sarà ancora vivo. Si spara e si bombarda lungo questa striscia di fronte. L'Isis, dicono i militari iracheni, usa droni con appese delle bombe. Il fronte sembra statico, molto statico. La guerra non potrà mai essere una cosa da addetti ai lavori. Non lo è nemmeno oggi: i soldati iracheni portano in salvo un gruppo di civili, fuggiti da Mosul poco prima.
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Sono fuggiti attraversando un corso d'acqua, gli adulti sono bagnati fino alla vita, i bambini no, sono stati portati in braccio. Bambini e bambine. Senza parole.
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Hanno uno sguardo con dentro qualcosa, sempre la solita cosa che provoca la guerra: un fondo senza fondo di paura. Scatto fotografie e scatto fotografie. Una dopo l'altra. Suonano come raffiche di mitragliatrice, confuse alle altre.
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