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E come se non bastasse, c'è la corsa a chi si prende il rifugiato messo meglio. Il rifugiato meno rifugiato. I tedeschi che hanno detto: noi ci prendiamo i siriani. Per farli lavorare alla Volkswagen. E gli altri, scusa? Gli altri chi? Prendeteveli voi, gli altri. Gli africani: chi li vuole? Gli iracheni. Gli iracheni? Chi li conosce? Non li avevano liberati nel 2003, gli iracheni? E gli afgani: non li avevano democratizzati nel 2001? Messi a posto, belli e puliti e tutti in fila che si vota e si fa festa e siete tutti liberi.
La vita è una cosa seria. La Willkommenskultur l'hanno inventata i tedeschi. Come parola, si capisce, meno come Kultur. Che con tutto il bene che gli devo ai tedeschi (e gliene devo), perché mi hanno fatto studiare gratis un anno intero una vita fa, dico che non fanno niente per niente. Sono i soli, guardandosi attorno? No. Ma lo hanno detto per primi: a noi i siriani. Che, fra tutti, dovrebbero essere quelli che hanno imparato di più, visto che percentualmente sono andati (quasi) tutti a scuola. Dicono i tedeschi.
Si sta procedendo verso una finalizzazione del rifugiato. Se mi servi, ti prendo. Se non mi servi: ciao. Il criterio di accettazione sarà (lo è già) questo: utilitaristico, non salvapelle.
Mettiamoci nei panni di questa gente. Senza partito preso. Come se fossi tu, lettore, oppure tu, lettrice, oppure io che scrivo. In fuga: non per fare casino, ma per ricominciare da qualche parte, che poi ricominciare non è. È un modo, se li hai, per dare ai tuoi figli quello che si chiama futuro, vocabolo che ormai assomiglia a una parolaccia, a un'offesa al sistema (il nostro, si capisce).
Immaginiamo che qualcuno decida che non serviamo a nulla (a nulla tu, lettore, a nulla tu lettrice, a nulla io) e quindi ciao. A parte la figura che ci faremmo. A parte la figura. Dove andremmo a buttare la nostra vita? Dove?
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